Ogni volta che torno in Italia vedo la vita che non ho scelto: la vedo attraverso le vite degli altri, di chi è rimasto.
E penso a come sarebbe la mia di vita se fossi rimasta qua.
Penso che sarebbe tutto più facile con l’aiuto dei nonni, sempre presenti – che forse dopo un po’ diventerebbero pure invadenti.
Penso che mi sentirei meno sola, meno stanca, meno sopraffatta.
Penso anche che mi sentirei più semplice. Perché andandotene altrove non è che trovi risposte, ti arrivano solo più domande.
Se vivessi ancora qui, sicuramente, avrei quella voglia di evadere che hanno tutte le persone che non hanno mai vissuto altrove, quelli che si lamentano tanto della loro vita, di come tutto sia sempre uguale a se stesso ma non fanno nulla per cambiare, perché in fondo gli va bene così.
(Sia chiaro, rimanere sempre in un posto non è che sia una cosa sbagliata: chi ha forti radici, come gli alberi, è più stabile. Ma non si muove.)
Di tornare in una città, paese, isola, che ora è casa, ma che non ha visto i miei natali, non costudisce i miei affetti, ma detiene il mio futuro. Quello (forse) migliore per i miei figli, ma più difficile per me.
La settimana che precede la partenza è la peggiore. Un po’ per l’organizzazione: devo fare un numero di valige che tende all’infinito selezionando vestiti, scarpe, giochi, cose da portare e cose da lasciare.
I ricordi no, quelli vengono con me. E sono dei bastardi perché si ripropongono nei momenti più impensati, come la pizza con le cipolle, e generano nostalgia, tristezza, scazzo.
(Lana Del Rey)